Pope - Corpi Cromatici 1988-89
Per parlare dell’ultima serie di lavori di Pope vorrei partire da un elemento solo all’apparenza secondario o ridondante che invece caratterizza sensatamente l’ultima fase creativa dell’artista di Portogruaro. Esso ci permetterà anche di penetrare per differenza le zone all’interno del quadro che sono nero morbido e vellutato per vuoto di colore e che sono nero opaco o semi-opaco per vuoto di luce.
L’elemento è una “porzione” esterna, una quantità di colore prevista astrattamente mentre l’opera è nel farsi, un indice di riferimento solo dopo accostato materialmente sulla sinistra del bordo superiore del quadro-quadrato: una forma rettangolare regolarissima, di misura molto inferiore, interamente campita. Essa è posta a terminare l’opera, con-chiudere in senso stretto. Nel contempo, inequivocabilmente, questo elemento métte a registro l’intero; per questo lo chiameremo elemento registratore,
poiché ferma il nuovo ordine che scaturisce dal muoversi delle relazioni tra corpo cromatico e forma, nonché dagli sbilanciamenti che questa tensione produce a favore del corpo cromatico.
Mi piace parlare per questo artista di corpo cromatico perché nell’attuale fase, di solida maturità, Pope raggiunge un risultato che non è tradizionalmente formale né, d’altra parte, è pertinentemente astratto. Nato dalle esperienze dei primissimi anni Settanta tale risultato è concreta costruzione della pura pittura. Sia l’elemento registratore che l’elemento intruso, di cui verremo a parlare, tipici di questa serie di opere, esaltano infatti proprio la vita autonoma del colore, la vita come corpo appunto, e la vita nei luoghi periferici della tautologia dove ad esempio il rosso significa l’accorparsi del colore rosso con la tela. Non a caso l’elemento di registrazione è esterno e non a caso l’unico elemento che compare all’interno del quadrato ha la valenza dell’intruso.
Per di più, se il supporto ha nel contempo la proprietà di essere fisso e quella di essere ripetibile (per questo quadrato), dall’esperienza percettiva del minimo sfasamento che corretra il bordo del supporto e il confine del corpo pittorico (le zone bianche quasi impercettibili sottolineano questa non sovrapposizione ma basta anche solo che la indizino) proviene un’attesa di espansibilità per allargamento che riconferma la densità di tale corpo.
Pope infatti conduce una raffinata opera di taratura, di aggiustamento e di correzione delle relazioni interne al quadrato fino ad una equilibratura che, nella sua instabilità, è stabilizzata proprio dall’elemento registratore. L’attenzione visiva che tale elemento chiama e richiama, pur nella casualità del rapporto proporzionale con il quadrato, impone una lettura pausata dell’opera atta soprattutto a condividere il piacere della pittura, la sua fattezza grave e corposa. Ma ecco che tale lettura pausata si estingue proprio nell’elemento intruso, l’elemento maggiormente disequilibrante, il nero. È un nero che fa zona a sé violentemente, leggermente perfino aggettante rispetto alla superficie. E l’unico elemento nel quale viene sottolineata la contornatura - il confine separante - irregolare.
Proviene a Pope, decantato, dalle modulazioni manieristiche del periodo precedente. È un nero, si diceva, intruso; un nero-forma che non significa. Solo nel momento in cui l’occhio finisce di girarci intorno esso recupera il suo significato di assenza, e di assenze specifiche di luce e di colore. Ma soprattutto é un nero che per la sua presenza formale impropria chiama come presenza concettuale assolutamente complementare e necessaria il regolare rettangolo esterno, idealizzazione di quel principio che nell’opera fa sì che non solo ad un ordine meccanico sia riducibile la vita estetica del colore.