Pittore lui artista io? Artista lui pittrice io? Pittrista lui? Artore io?
E così via. Pope ed io molte volte abbiamo fatto questi giochi di parole: un discorso quasi Dada per dimenticare la serietà dell’arte e mascherare un sentimento di timidezza o timore per le definizioni sempre più indecise del mondo dell’arte. Con Pope è così.
Ma che cos’è per me il rigore di colore, di forma e di equilibrio della sua pittura? Sembra che egli voglia autocontrollarsi, autocompartimentarsi... è una bella sfida perché le sue opere invece sono intrise di poesia. Amo specialmente quelle piccole che fa per gioco: le trovi nel suo studio magari tra gli scaffali o dietro i banchi di lavoro e poi te le regala.
Con il passare degli anni la sua pittura è diventata sempre più essenziale: è “essenza” nel vero senso, contenuto condensato, perciò pregna di esperienza, di talento e di sentimento. Forse Pope non vorrebbe aver nulla a che fare con il sentimento, ma è il sentimento in persona. Vive più degli altri di sfumature, di sensibilità, di pensieri vaganti che arrivano e che passano senza poter essere catturati o fermati. Come l’acqua verde del fiume che accompagna lo sguardo e passa e lambisce la soglia del suo meraviglioso studio a Portogruaro.
Pope come un maestro orientale allontana il colore ai bordi della tela con pulita precisione interiore. Ciò conferisce al suo lavoro una certa sacralità e la tela bianca che ne scaturisce significa la perfezione e la serenità che si raggiungono quando si allontanano sentimenti e passioni. I colori ai bordi sempre netti: la sua umanità e il suo desiderio di misurarsi con il suo Fine ... questo per me è Pope, del qual scrivo con l’affetto di sempre, ineguale sempre, ma sempre fedele a se stesso.