Pope. Dal gesto al colore: la complessità della superficie.
Quasi paradossalmente, per accostarsi e cercare di guardare e comprendere la pittura di Pope, tutta volta a proclamare la propria flagrante e orgogliosa astrazione, tutta apparentemente chiusa nella propria splendida e intangibile consistenza e purezza formale, occorre tentare di ripercorrerne la storia, esplorando, fin dagli esordi, le vicende e i contesti della sua apparizione.
Bisogna cioè risalire alle istanze, ai desideri, alla voglia di vivere di un giovane che, nato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, verrà formandosi nel clima (per molti aspetti così radicalmente diverso da quello attuale), ricco di fervori e di aspettative, della ricostruzione, nell’ambito del quale, pur nella consapevolezza della concretezza delle iniziative e dei nessi, come della forza delle fondamentali ragioni pratiche ed economiche in senso lato, verrà altresì maturando un trascinante desiderio come di trascenderle, avvertendo quasi un’attrazione magnetica per la bellezza, ricercata – vengono in mente talune espressioni di Vladimir Nabokov – con penetrante “voluttà estetica”, sulla base della consapevolezza delle “… infinite perfezioni”, necessarie a colmare “l’abisso fra il poco che è dato e il molto che è promesso.”
Eccolo allora vivere come illusivamente fuori dal mondo, danzando sull’ordinata traccia delle convenzioni etico-sociali, ai limiti di un eretico, errante disadattamento, nella sottile ebbrezza di un comportamento ludico e lunare, alla ricerca di un gesto puro, irreale, aereo, sognante e ribelle, ironicamente e insieme idealmente liberato da ogni zavorra mondana. (1)
Ovviamente, per Pope, tutto questo si colloca altresì, fin dall’origine, all’interno dell’universo della pittura: un alveo nel quale la fondamentale istanza gestuale, mai intesa nella sua pura e semplice esplicazione meccanica, nel suo mero e immediato dinamismo fisiologico, verrà via via superando ogni labile momentaneità, concretizzandosi nella materialità del mezzo, concepito quale modo esplicito di testimonianza, consolidando così le proprie caratteristiche comunicative, non senza, al di fuori di ogni pedanteria, possibili risvolti educativi e socialmente progressivi. (2)
Senza bisogno di ricorrere a qualsiasi, presupposta realtà esterna, è così l’incontro tra le molteplici componenti esistenziali, culturali e, sorprendentemente riflessive del gesto e l’idealità della superficie pittorica, tramite l’effettualità del colore, a generare concretamente la forma, non concepita come un dato metafisico al quale assoggettarsi, bensì come un desideratum, a lungo perseguito, con piacere, ansia e trepidazione .
L’opera viene cioè configurandosi come un sistema complesso in cui emozioni e aspettative, percezioni e sentimenti prendono corpo interagendo in un continuo dialogo con le analisi razionali.
Nel corso dell’evoluzione del processo creativo il segno-gesto verrà articolandosi in modalità sempre diverse e variate, passando, dopo l’emergenza iniziale, da strutture rigorosamente progettuali e predeterminate a espressioni più libere, nelle quali molteplici energie e interconnessioni giungeranno, quasi improvvisamente, a esiti sottilmente erratici e apparentemente imprevedibili, tali insieme da trascendere i singoli diversi elementi della composizione, pur conservando le tracce del progressivo approssimarsi dell’evento dell’opera.
Con sempre maggior consapevolezza Pope verrà esprimendo la ricerca del proprio gesto nella plasmabile consistenza del colore, esplorato, non come nella tradizione dominante nella grande pittura veneta, come possibilità di inglobare illusivamente lo spazio, la luce, la profondità, tramite calibrate successioni di velature e trasparenze, ma come denso pigmento, stratificazione coprente, intrisa di una costante tensione alla saturazione, ribaltando in superficie la propria capacità di di emissione cromatico-luminosa.
Al di fuori di ogni sconfinamento fisico-matematico, il gesto, concretizzandosi nel colore, nutrendosi della sua intrinseca energia espressiva, verrà allora dilatandosi sulla superficie in masse cromatiche ricche della propria compatta estensione che, tuttavia, non riducendosi a mera esteriorità, conservano riposte in sé, sia le tracce del proprio concepimento che, nell’accentuata articolazione dei propri limiti e confini, la multiforme articolazione del proprio complesso processo di apparizione.
Quasi ossimoricamente, il dipinto sembra allora acquisire, nella propria emblematica evidenza, “… proprietà che sono interne in un senso diverso”, rispetto a quello comunemente riservato a questo attributo, “vale a dire che non si deve necessariamente andare sotto la superficie per scoprirle.” (3)
Prorio la continua mobilità dei margini, dei bordi, dei contorni, la metamorfica geografia dei rapporti che si vengono instaurando tra le componenti formali e cromatiche del quadro, testimoniano così, non solo di un inscindibile nesso tra l’autore e la propria opera, ma postulano altresì una più allargata partecipazione di quanti intendano fruirne attivamente.
Il manifesto segreto di questa inarrestabile vitalità sta nel non rinserrare i diversi elementi in chiuse, insuperabili gabbie, nel non reificare le proprie percezioni, i sentimenti, le emozioni.
Così Pope non oggettivizza il proprio segno-gesto trasformandolo in astratto alfabeto disponibile a ripetitivi effetti combinatori, mantenendo invece sempre viva, mai racchiudendola nei confini di una metafisica privatezza (4), la capacità di far emergere e comunicare il proprio sentire, pensare, desiderare, nella continua vitalità del dinamico fluire del tempo.
Poco incline a qualsiasi disciplina scolastica, dopo aver peregrinato tra Licei Artistici e Scuole d’Arte a Roma e a Fano, nelle Marche, Pope completerà la propria formazione all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove si diplomerà nel 1968.
Nel frattempo, pur apprezzando la maestria tecnica di Bruno Saetti e il sottile lirismo di Giuseppe Santomaso, memore forse delle sue precoci frequentazioni romane e sensibile ai temi della nascente contestazione studentesca, verrà impegnandosi in lavori, talora anche di grandi dimensioni, caratterizzati da esplicite problematiche politico-sociali.
Il desiderio di rispondere in modo più diretto e personale alle molteplici istanze di positivo cambiamento del reale, avvertite con sempre maggior urgenza esistenziale, unitamente alla volontà di approfondire i propri mezzi e strumenti espressivi porteranno ben presto Pope a esplorare gli universi del gesto e della materia.
Lungi dal farsi sommergere dall’ebbrezza dell’immediato, pur facendo propri i termini delle poetiche informali, vissuti come necessario momento di verità, Pope ne respingerà ogni senso di scacco e di impotenza, non rinunciando alle proprie istanze eidetiche e immaginative, alle ipotesi di una possibile ricerca di un mondo nuovo, consapevolmente trascendenti ogni bruta e sorda matericità.
Si passa così dal denso magma di opere come il Sole malato, della fine degli anni Cinquanta, in cui pure si innestano ulteriorità ancora di matrice paesistica, al nuovo ciclo di dipinti, realizzati nella prima metà del nuovo decennio e significativamente intitolati Cercando il gesto, nei quali, variati percorsi segnici, chiaramente ritmati sugli estremi del bianco e del nero, sembrano come cercare una propria ambientazione, la capacità di imporsi su superfici variamente intessute e colorate, sulle quali vengono sovente affacciandosi diversi lacerti di pagine di giornale, come, per certi versi, a dar conto del vario scorrere del vissuto, ma altresì a evidenziare, attraverso il calibrato susseguirsi delle righe e degli intervalli tipografici, una non meno sentita esigenza di ordine, acutamente ribadita dalle impercettibili, quasi trasparenti, ma nette e precise scansioni geometriche a cui pare come incardinarsi la composizione, a testimoniare dell’affacciarsi, fin d’ora, con sempre maggior insistenza del “… tentativo di chiarificare il concetto stesso di pittura, di portarlo fuori dal fango espressivo, di affermare un concetto superiore di arte” in grado di inverare “…la volontà di chiarire, di cambiare il mondo per il meglio.” (5)
L’esigenza di attingere a una più ampia capacità comunicativa e metaindividuale, tale da superare i confini della confessione o dell’affermazione soggettiva di matrice informale, porterà ben presto Pope, probabilmente spinto anche dalla presa di coscienza dei sempre più rilevanti sviluppi dell’industria e dell’espansione dei mezzi di diffusione di massa, a tener conto anche delle nuove fenomenologie artistiche connesse a tali trasformazioni.
Eccolo allora, senza ignorare i molteplici portati delle poetiche Pop, ormai trionfanti in quegli anni, pervenire, anche attraverso l’uso dell’acrilico, a un nuovo impiego del colore, più limpido e compatto.
Nasceranno così opere come Albero nuvola del 1965, caratterizzato da un eloquente emblematismo, a cui non sono forse estranei riferimenti anche alle contemporanee sintesi della cosiddetta Pittura Segnaletica, sviluppatasi in quegli anni soprattutto in Germania, o la Natura morta in scatola, dello stesso anno, dove lo stringato compendio delle partizioni e dei rovesciamenti apparirà sottolineato anche dall’impiego sapiente di un nuovo materiale come il plexiglas, o ancora Natura in bianco, dove analoghi elementi appaiono ancor più avvalorati dalla essenzialità del monocromo.
Un ulteriore approfondimento delle modalità di percezione e di fruizione delle forme e dei colori gli verranno da una approfondita rimeditazione delle ricerche vasarelyane sull’alfabeto plastico.
La complessa varietà delle ipotesi ghestaltiche verrà dapprima analizzata in opere come Didattico, del 1966, in legno laccato, e quindi, con maggior libertà inventiva, non priva di raffinate fantasie liriche, in una vasta serie di Strutture, quali Ali di farfalla bussano al cielo, del 1969, o il volo del calabrone, del 1971, fondate “… sul legame di variazioni rarefatte costituite di elementi recuperati da un’astrazione ottica …” (6)
In queste opere l’apparente uniformità del reticolo ortogonale, non solo viene intaccata da una progressiva dilatazione delle singole compartimentazioni, lungo l’incrocio degli assi, delle diagonali e delle mediane, ma l’ombreggiatura diagonale che bipartisce ciascuna di esse innesta altresì sottili virtualità e distorsioni visive, in un continuo gioco di simmetrie e impercettibili squilibri, sottolineati dalle geometriche concentrazioni e dispersioni dell’energia luminosa.
Agli inizi del nuovo decennio, all’insistenza sulla strutturazione formale e percettiva, verrà via via subentrando, come dirà lo stesso Pope, lo “…studio del colore come progressiva ricerca della luce” (7) : un’indagine che verrà ben presto collocandosi nell’ambito di una più vasta esigenza di riflessione sui mezzi, le modalità, il linguaggio, gli strumenti, gli statuti e la stessa validità storica della pittura, impegnata in quegli anni anche in un difficile confronto con i nuovi media.
Verrà così creandosi una nuova tendenza, che assumerà varie denominazioni in Italia e in Europa,quali ad esempio, Pura Pittura, Fare Pittura, Pittura Pittura, Pittura Analitica, Pittura Radicale, Pittura Riflessiva, o più genericamente Nuova Pittura, o Nuova Astrazione.
E’ a tali problematiche che, per molti aspetti, verranno richiamandosi i Percorsi variabili, dei primi anni Settanta: una vasta serie di opere caratterizzate dalla premeditata e pervasiva iterazione di bande cromatiche di uguale larghezza, costituite da due toni leggermente discontinui dello stesso colore - quasi una astratta estensione di taluni caratteri del Divisionismo Italiano, a cavallo tra il XIX° e il XX° secolo (8) - e inclinate di 45 gradi, a coprire interamente la superficie del quadro.
In tali lavori ideazione ed esecuzione apparivano come separate, quasi che, rispetto alle opzioni iniziali, la realizzazione, depurata da qualsiasi apporto soggettivo, eliminasse ogni imprevista ulteriorità, ogni possibile eversione rispetto all’ordinata uniformità prestabilita.
Eppure il conformarsi a tali aprioristici enunciati è, forse, solo apparente: basti soltanto porre attenzione al fatto che le lievi (9) strisce colorate che ricoprono l’intero piano dell’opera, proprio per la loro costante, ma sottilmente dinamica inclinazione, finiscono per avere ciascuna lunghezze diverse, innestando così un impercettibile gioco di differenze, di incertezze, di squilibri, attraverso i quali, l’imprevedibilità dell’esistenza torna silenziosamente a rivendicare in qualche modo i propri spazi.
Si instaurano altresì dei sempre mutevoli rapporti con la parete e, più in generale con l’ambiente: relazioni che risulteranno ulteriormente sottolineate dalla frequente moltiplicazione seriale dei dipinti, spesso composti a dittico, a trittico, a polittico o anche in altre più complesse e articolate disposizioni geometrico-ortogonali.
Ma il gioco potrà ancora arricchirsi: sia quando i diversi pannelli a bande risulteranno intervallati da analoghi dipinti completamente monocromi, chiamati quasi ad esercitare “… una funzione ideale di registro, come momento di contrasto per una lettura dialettica …” (10) dell’insieme, sia, come accade in uno splendido lavoro del 1975, nel quale la variazione investe la conformazione stessa del piano dell’opera, anch’esso animato da sottili, obliqui avanzamenti e assottigliamenti, a innestare tutta una serie di impercettibili distorsioni e di movimenti capaci di alimentare continuamente gli aspetti problematici di un’opera solo apparentemente prevedibile, in quanto frutto di una rigida ed esatta programmazione.
Anche se, come ha osservato Eugenio Miccini, nei Percorsi variabili “… la sola complicazione sintattica è data dall’obliquità delle strisce che ne gradua la lunghezza, la percezione che ne risulta è ovviamente instabile e soggetta a una specie di inganno ottico che smentisce la regolarità del tracciato e che, per altro verso, è allusiva a qualcosa che si compie oltre il quadro: una figura, una serie di figure che si inscrive nel quadro solo parzialmente e che mentalmente invita a seguitare quei segni, a costruire altri ipotetici piani. Sicché il rapporto tra le linee e il piano … sembra pervenire … anche a una virtuale duplicazione plastica del piano medesimo: le strisce più chiare appaiono più emergenti quanto più il colore germinale articola le sue scansioni, se non proprio le opposizioni di tono.” (11)
In ogni caso, come avrà modo di osservare Giorgio Cortenova, anche se “E’ vero che Pope struttura a dittico, a trittico, a singola opera il suo programma lavorativo …, è anche vero che il tutto non esclude mai la continuità, anzi di questa se ne avvale, approdando a una catena tendente all’infinito, di cui ciò che vediamo non sono che momenti estrapolati, tempi di lavoro estratti dal tempo di lavoro continuo, proposto come pratica sulla e della superficie”, cosicché, pur tralasciando “… le annotazioni spicciole degli anni e delle giornate …”, confrontandosi con il tempo nella sua essenziale dialettica di uniformità e di cambiamento, l’opera giunge addirittura a conquistare “… la parvenza del diario”, attraverso una riflessione “… diagonale di enunciati che vengono, di segno in segno, sottratti alla segretezza in cui li tiene il periodare, la proposizione, l’argomento istituzionale della pittura.” (12)
Proprio la frizione che verrà ben presto a crearsi tra la gabbia programmatica in cui la sua pittura era andata collocandosi e l’incoercibile imprevedibilità della “strategia del desiderio” (13) indissolubilmente legata a sempre nuovi svolgimenti esistenziali, (dopo l’ulteriore momento di decantazione delle Pagine di colore, caratterizzate da un sobrio, uniforme, rigoroso eppur sensibile monocromatismo, sottolineato da un unico elemento centrale – orizzontale, obliquo,verticale – simmetricamente intersecante ogni singolo pannello, o i diversi elementi che vengono a comporre tali nuovi polittici) spingerà Pope a mettere in questione i suoi stessi imperativi propositi operazionali, superandone l’assiomatica ripetitività: velando le sue opere precedenti di una sottile patina dorata, “… lasciando però”, come osserverà Giancarlo Pauletto, “che qualche ferita, o macchia emergesse … da quello che lo spettatore è ormai autorizzato a considerare il suo vissuto d’esperienze, il suo passato.” (14)
Questa frapposizione, questo distacco, questa rimeditazione, risulteranno particolarmente importanti perché consentiranno a Pope di allargare i fondamenti della propria creatività, includendovi la dimensione della memoria.
In particolare, come osserverà in seguito lo stesso Pope: “ L’azione creativa della pittura non si limita a compiere un’azione temporanea legata al puro atto oggettivo del fare in quanto ogni agire individuale porta con sé l’esperienza, e questa non è altro che il risultato, anche se inconscio di una conoscenza e di una memoria.” Vi è infatti una “… continuità nella pittura” che può sì essere definita “… un fare, ma questo non può essere nettamente isolato da un percorso storico dell’arte. … Credo”, specificherà significativamente Pope, “che la pittura non sia solamente un’arte, ma anche un sistema di comunicazione che si identifica con un preciso percorso storico …La pittura non può”, infatti, semplicemente “vivere di un codice espressivo, vi è certamente una mutevolezza nei suoi elementi espressivi, ma non possono essere completamente mutevoli, in quanto conducono a una grammatica espressiva che si inserisce gradualmente, ma con una certa intensità in un ambito socioespressivo accentuandone le tematiche temporali.” (15)
Tali riflessioni porteranno Pope non solo a riconsiderare creativamente i diversi momenti della propria avventura pittorica, ma più in generale anche a una feconda rimeditazione sulle principali emergenze, sentite in qualche modo consone, affioranti nello sviluppo della storia delle arti visive, con una particolare attenzione alla moderna, molteplice tradizione dell’aniconismo.
Eppure non si tratterà mai di un adattamento puramente imitativo, anzi sovente Pope sembrerà rivitalizzare le fonti proprio seguendo il desiderio di raggiungere esiti, talora, per molti aspetti, diversi, se non contrari, rispetto a quelli a cui pare riferirsi.
Fondamentale, in questo orizzonte, risulterà una rinnovata valorizzazione del colore.
Se la Pittura Analitica, per molti versi, andava basandosi sulla presunzione che i termini stessi del dipingere potessero essere perfettamente isolabili, proprio la consapevolezza, ormai acquisita da Pope che proprio per quanto riguarda il colore, anche concetti come saturazione, purezza, timbro, valore, in realtà recano in sé un notevole grado di positiva, vivissima indeterminatezza, tale da sfuggire a ogni aprioristica classificazione, gli consentirà di considerarli come pittoricamente sempre di nuovo esplorabili e da reinventare.
Pope verrà così riscoprendo il colore, riconquistandone consistenza e corpo, indagandolo nella sua essenzialità etimologica di sfuggente e incontenibile capacità di copertura, di protezione e di salvaguardia dell’anima segreta della superficie e insieme di svelamento, di affioramento, di deflagrante apparizione dell’emergenza dell’immagine.
In questo contesto, particolare rilevanza sembrerà assumere la capacità di rimeditare sulle sconfinate estensioni, ricche delle immense energie del colore, emerse in molte delle opere della recente tradizione dell’Espressionismo Astratto nordamericano.
Nella nuova serie di dipinti, significativamente intitolati Cercando … il mio rosso, il giallo, il nero, Pope potrà così approfondire la propria capacità di reimmergersi nell’esserci con la forza di mettersi sempre nuovamente in gioco.
In ogni caso, anche se talvolta sembrano affiorare talune analogie con gli sconfinati campi di colore dai contorni aspri e irregolari, con le superfici opache, densamente dipinte e popolate qua e là di improvvisi squarci e lacune di un Clyfford Still, tuttavia, nelle opere del pittore veneto l’energia dei vasti lacerti di un unico colore che paiono come dilatarsi fin oltre i confini del quadro, non solo non sembrano recare in sé alcuna memoria o riferimento a qualsivoglia titanismo paesistico (come accadeva invece nel senso del sublime elaborato da Still a contatto con gli sconfinati panorami del North Dakota e della costa nord occidentale degli Stati Uniti), ma pare altresì confrontarsi anche con una sempre insorgente tensione analitica, riaffiorante nelle acute cesure e partiture geometriche chiamate a misurare e a scandire il fluire indistinto delle cromie, o ancora nelle incisive sezioni architettoniche in cui spesso si suddividono i grandi teleri di questi ampi e solenni dipinti. (16)
Ma tali ponderate scansioni non si limitano solo alle superfici: il dipinto appare infatti (come testimoniano i numerosi, laboriosissimi disegni, poi, magari, invariabilmente distrutti) strutturato progettualmente nelle sue successive stratificazioni, ripercorrendo tecniche paragonabili a quelle dell’antico affresco, a partire da una vera e propria sinopia, fino a alla stesura più prossima ed evidente.
L’opera, mentre l’immane energia delle grandi masse monocrome sembra quasi costringere ai margini, negli anfratti interstiziali, gli indizi di una possibile, inventiva policromia, viene così configurandosi come un organismo complesso, ricco di interiori, nascoste, ma efficienti ricchezze.
Comunque, ed è ciò che più conta, la messa a tema e la valorizzazione di tali segreti processi, non si riduce mai a una vuota esibizione dei pur fondamentali nuclei del mestiere della pittura.
Pope conserva infatti, in ogni circostanza, la capacità di mantenere in qualche modo la propria creatività legata alla vita, nella continua ricerca, non senza accenti di raffinata ironia, di un sempre rinnovato equilibrio tra gli incontenibili slanci del divenire dell’esistere, delle sue impetuose passioni, della sua esuberante vivacità e una non meno necessaria esigenza di ordine e di controllo.
In ogni caso, l’inventività di Pope non si sentirà comunque appagata dalle pur rilevanti acquisizioni dei suoi Cercando il colore: continue saranno infatti le variazioni e le esplorazioni di nuove ipotesi di ricerca.
In Nero + nero troppo nero, del 1989, al di là della lieve ironia del titolo, il pittore sembrerà contrapporre alle più compatte zonature laterali, una parte centrale più mossa e modulata, quasi allusiva di una interiore fertilità, dosando, in modo raffinatissimo, attraverso l’uso sottile delle sabbie, l’impatto con la luce.
Si fa strada così un’attenzione sempre più differenziata e puntuale alle multiformi esperienze del dipingere che porterà Pope a realizzare con sempre maggior consapevolezza opere come Dialogando con la mia storia, sempre del 1989, nella quale, non solo viene ulteriormente messa a tema la diversità del ductus pittorico, ma torna ad affacciarsi la persistente dialettica tra la coscienza quasi ipnotica del peso, della consistenza e della vischiosità della materia-colore e un insopprimibile desiderio di liberazione, di imprimervi, come dirà lo stesso Pope, “lo slancio che fa vivere le ali dei celesti messaggeri del Beato Angelico.”
In ogni caso, contrariamente alle espressioni immediate e totalizzanti che avevano caratterizzato le molteplici fenomenologie dell’Informale, al di fuori di ogni all over, il gesto si fa qui ripetuto, frazionato, insieme liberatorio e meditativo, affermazione soggettiva che, conscia tuttavia della più ampia oggettività, si fa forse veicolo di una più vasta e universale utopia propulsiva.
Nel vasto ciclo dei Corpi cromatici, il tema della differenza appare inoltre ribadito non soltanto dalla realizzazione di zone e dall’accostamento di aree cromatiche marcatamente diverse sulla superficie del quadro, ma, sottolineando così, con forza, la consapevolezza della fondamentale importanza in pittura, anche della struttura e conformazione de supporti, dalla frequente, ordinata giustapposizione di pannelli di differenti dimensioni accanto alla centralità della massa principale del dipinto.
Ma in taluni casi il gioco appare come rovesciato: soprattutto nella nuova serie dei Suoni della superficie la differenza cromatica e formale tra le varie parti inscritte nella superficie unitaria dell’opera appare infatti così rilevante da far avvertire anche tali elementi quali apporti esterni, o quali improvvise aperture all’infinita estensione dello spazio.
Grandi sagome cruciformi, slanciati quadrangoli – veri e propri omaggi alla pura sensibilità suprematista del grande Malevitch – sembrano infatti quasi interrompere ogni empirica continuità della superficie, innestando sempre nuovi equilibri che, escludendo ogni statica e gerarchica relazione figura sfondo, mantengono viva l’attenzione del fruitore, concentrandola sia sull’insieme dell’immagine che sulle differenti forme chiamate a comporla.
E’ questa una intenzionalità che appare ulteriormente sottolineata nel caso dei raffinatissimi monocromi.
“Del resto”, ha osservato Claudio Cerritelli, “ a Pope non interessa il monocromo in quanto tale, vale a dire come radicale azzeramento della pittura a se stessa, la scelta di affidare la lettura dell’opera ad un’unica volontà cromatica rientra”, infatti, “ sempre nella sensibilità pura del colore –materia, unico e vero punto di riferimento. Se osserviamo un tutto bianco”, specifica ancora Cerritelli, “non possiamo non cogliere l’effettiva estraneità di Pope alla tentazione puramente concettuale dell’immagine, il bianco è vissuto da pittore che sperimenta le infinite possibilità di mettere a fuoco le indicazioni interne al colore, in questo caso presenti nel valore luminoso del bianco. L’accostamento di percezioni diverse avviene anche all’interno della procedura monocromatica, anzi acquista forte evidenza nello sviluppo di brevi e invisibili passaggi tra uno spessore e l’altro. Ogni opera è”, infatti, “ dipinta in modi diversi e concomitanti: stesure lucide oppure opache, vibrazioni di pennellate riassorbite nell’umore totale dell’immagine; oppure minime scosse tra il corpo centrale della superficie e la sottolineatura dei bordi. I margini vorrebbero svelare ulteriori sensi della pittura, ma non sempre sono necessari alla contemplazione delle energie disseminate, in equilibrio con essa.” (17)
Pope, nel tentativo di “…trasformare sul piano pittorico il rumore in una musica impalpabile …” (18), con esiti di straordinaria rarefazione, soprattutto nei grandi tondi, nei quali, pur senza alcuna impersonale freddezza, sembra far i conti anche con le elementarità delle ormai diffuse esperienze di matrice minimalista, pare così dare inizio a ulteriori sviluppi della propria creatività, lungo una linea di singolare equilibrio tra l’esplicarsi delle più dirompenti pulsioni espressive, fino ai limiti della flagranza materica e dell’immediatezza informale, e le più controllate istanze astrattiste di matrice razionale: un equilibrio tanto più efficace in quanto in grado, nei suoi raggiungimenti più alti, di mantenere quanto più autonome ed efficienti le caratteristiche di ambedue i versanti del pensiero della pittura.
L’emergere sconvolgente dell’evento cromatico appare così, pur non senza conflitti, frizioni, linee d’attrito e di instabile confronto, ricompreso in un ordine strutturale e costruttivo, mentre la forma non si mostra racchiusa in una intangibile, geometrica perfezione, cosicché, pur senza ricorrere ad esteriori referenzialità, negli elementi costitutivi del dipingere si insinua il pungente sapore della vita, tuttavia non proposto tale e quale, come puro ready made esistenziale, bensì trasfigurato nella misteriosa dimensione creativa dell’opera.
Gli impulsi della soggettività si confrontano allora con una più sedimentata progettualità, l’irriducibilità dell’espressione individuale fa i conti con un consolidato, seppur dinamico universo linguistico, tale da rendere partecipate e comunicabili le memorie e le relazioni con gli universi lessicali e sintattici della grande arte del passato anche più recente e queste si combinano con le rimeditazioni sui raggiungimenti delle proprie ricerche.
E’ a partire da un così ampio orizzonte che, tralasciando sia ogni residuo puramente ottico-percettivo che ogni ideologica analiticità, Pope potrà riprendere e sviluppare, in termini profondamente rinnovati, le sue giovanili indagini sull’iterazione delle bande cromatiche.
Nascerà così, alla metà degli anni Novanta, il ciclo delle Colonne, caratterizzate dal dilatarsi di vigorose e quasi segnaletiche zebrature, tuttavia interrotte da improvvise fratture e cambi di linea, ulteriormente accentuate anche dalla possibilità consapevolmente offerta al fruitore di disporre e montare liberamente, a sua scelta, i diversi pannelli che costruiscono la composizione.
Anche tali apparentemente imprevedibili indeterminazioni vengono nondimeno in qualche modo ricondotte ad una sorta di avvolgente griglia ordinatrice.
Pur avendo perso l’illusione mondriana di poter eliminare il tragico, almeno dall’arte, tuttavia , quasi sommessamente, la ragione non rinuncia a esercitare la propria funzione di verifica e di controllo.
Quasi umilmente essa cerca infatti di trovare, magari nella marginalità, la possibilità di intaccare e di tentare come di contenere la perentoria emergenza dei vari elementi.
Sui bordi, sulle facce laterali del sottile parallelepipedo del quadro, le proiezioni delle diverse figure attive nell’opera, vengono infatti cartesianamente a ricomporsi in una sorta di reticolo di matrice neoplastica in cui il dramma dell’apparizione viene in qualche misura verificato e dominato.
Subito dopo, in una serie di dipinti significativamente intitolati Gesto controllato, saranno l’imporsi possente del nero, quale totalizzante sintesi del colore, e la limpida memoria dell’impetuoso universo degli oscuri tralicci klineani a trovare una più delimitata e geometrizzante, ma nondimeno emblematica espressione plastica, tanto più che, in diverse occasioni, a sottolineare come ormai l’evento gestuale non escluda, ma anzi postuli una articolata progettualità creativa, l’andamento leggermente obliquo del singolo macrosegno, ripetendosi, pur in modo sottilmente modificato, viene ripercuotendosi, trovando prosecuzione nelle diverse sezioni di tali vasti dipinti.
Sarà probabilmente da simili problematiche che prenderanno in seguito origine anche alcune sculture in ferro dipinto, di notevole impatto, i cui margini, nella loro varia, ma calcolatissima elaborazione, a contatto con la mobilità dell’ambiente circostante, ricostruiscono, in maniera forse ancor più accentuata il sottile dinamismo che sempre percorre la pittura di Pope.
Successivamente, nell’ultima parte del decennio, non solo, come ha scritto Diego Collovini, Pope mostrerà, con ancora maggior sintesi di “… raccogliere nel tempo l’essenza anticipatrice del quadrato su quadrato …”(19) di Malevitch, ma, probabilmente, mostrerà altresì di saper confrontarsi con grande autonomia anche con alcuni studi per Omaggio al Quadrato di Albers e, in particolare, con i fogli nei quali il semplice e sempre ritornante soggetto appare sezionato lungo l’asse verticale.
A differenza delle perfette immagini di meditazione (20) di Albers, imprimendo la sua irregolare sezione di corona di quadrato sull’uniformità dello sfondo e facendola, in certi casi, debordare sullo spessore del telaio, Pope conferisce all’immagine insieme forza e precarietà, esponendola al rischio, ma anche alle occasioni del divenire.
Inoltre, le pure stesure pittoriche, sovrapponendosi con sempre più accentuata evidenza e quasi superando la propria empirica consistenza, verranno altresì innestando sottili sintomi di virtualità.
Proprio a un raffinatissimo controllo della profondità spaziale sembrano infatti volte le pressoché coeve Pittografie, dove le dosatissime variazioni d’intensità e di grana dei neri segni sospesi sul biancore immacolato della superficie adombrano sottili sovrapposizioni e impercettibili allusioni polidimensionali.
E’ questa una caratteristica che va talora affacciandosi anche nelle opere più recenti, dove la calibrata curvatura dei contorni di talune ampie superfici cromatiche sembra come farle staccare dal piano dell’opera per lievemente librarle nel spazio.
Intanto i colori, individuati e inventati con precisione puntigliosa, vanno facendosi sempre più limpidi e squillanti e oltre ai rossi, ai bianchi e ai neri, anche i verdi, i gialli, gli azzurri e persino i viola o permeano di sé ogni singola superficie, oppure offrono sovente il loro apporto a comporre vivaci, calibratissime quadrerie.
Comunque, in ogni opera Pope prosegue il confronto tra i multiformi attributi della pittura e i molteplici universi del vissuto, distillando nuovi equilibri, studiando sempre nuove condizioni, inedite e intriganti situazioni.
I confini degli, insieme differenti e uniformi, piani cromatici si fanno allo stesso tempo, apparentemente più semplici, più sottili, più raffinati, appaiono improvvise, sognanti lame d’oro, iridescenti trascoloranti puntinismi, si affacciano impercettibili sbavature, balenii, sottili deragliamenti dei sensi e della mente pretendono un seppur limitaneo spazio, in una continua ricerca di efficacia e insieme di eleganza.
C’è stato chi ha parlato, giustamente di un “… estetismo di fondo …” nello “…stabilire una relazione tra tutti gli elementi considerati e i diversi gradi di pittura elaborati.” (21)
Spesso questo termine è stato riferito ad un intellettualismo raffinato, ma privo di considerazioni morali e storiche.
E’ questa, tuttavia, un’accezione che non potrebbe essere più lontana dai fondamenti veri dell’opera di Pope, il quale, pur basando necessariamente la propria creatività sulla storia viva della pittura, nonché sulla consapevole autonomia del dipingere, intende altresì (senza per questo aver bisogno di lanciare proclami) opporsi con il proprio lavoro alle brutture e alle cialtronerie che spesso ci circondano.
D’altronde, che cosa ci può essere di più vitale e moralmente desiderabile di una sincera, coinvolgente, irrinunciabile ricerca della bellezza?
Dino Marangon
Note
1. Ricordando la lunga amicizia, fin dai tempi dell’Accademia a Venezia, Elio Armano testimonierà: “Come nella ricerca scientifica l’unico valore era la libertà assoluta e consapevolmente slegata da ogni pretesa di utilità: niente è più indispensabile del superfluo come musica, poesia, pittura …” (Da E. ARMANO, Pope traghettatore di rigore, nel catalogo della mostra, Pope. Dialogando con la pittura, Galleria d’Arte Contemporanea Ai Molini, Portogruaro 7 – 29 aprile 2002, p. 10).
2. A questo proposito, anche se Pope non ha mai coltivato particolari relazioni con le istanze spazialiste, merita forse di essere ricordato come, già Antonio Giulio Ambrosini nel suo manifesto : Lo Spazialismo e la pittura italiana nel XX° secolo, pubblicato in occasione della grande Mostra Spaziale, tenuta a Ca’ Giustinian a Venezia, nel settembre del 1953, avesse, tra l’altro affermato: “Lo Spazialismo pertanto accetta … e crede nella materialità del mezzo solo perché è un modo esplicito a tutti, sicché in tal maniera l’Arte si fa altamente educativa e socialmente progressiva.”
3. Vedi A. STROLL, Surfaces, Minneapolis 1988, ora in trad it. a cura di R. CONTESSI, Superfici, Milano 2000, p. 50.
4. Sulla “metafisica della (alla) prima persona”, vedi L. PERISSINOTTO, Introduzione a L. WITTGENSTEIN, Esperienza privata e dati di senso, trad. it. di T. FRACASSI e L. PERISSINOTTO, Milano 2007, pp. VII – XXVII.
5. Da P. PATELLI, nel catalogo della mostra, Pope. Dialogando con la pittura, cit. p.12.
6. Da M. BOTTECCHIA, presentazione a, Dualità. Pope e Schiozzi, Cartella di 5 serigrafie edita in occasione della mostra presso la Square Gallery, Milano 10 – 24 gennaio 1973.
7. Da D. COLLOVINI, POPE, C. OLIVIERI, Dialogo, nel catalogo della mostra, Pope. Itinerario 1965 – 1995, a cura di D. MARANGON, Pordenone, Galleria Sagittaria, 7 ottobre – 12 novembre 1995, p.11.
8. Nel suo acuto saggio critico su Previati, pubblicato su “Gli avvenimenti” del 1916, Umberto Boccioni ha osservato che, a differenza delle opere dei Neoimpressionisti francesi, nelle quali a prevalere sono i colori ternari, nel caso del maestro ferrarese, “…il quadro è costruito a grandi zone complementari, ognuna delle quali si rafforza con la zona vicina, ma in se stessa è composta da un colore puro, unico, a toni graduali e che Previati dipinge a strisce.”
9. “Uso”, spiegherà Pope, “colori acrilici molto diluiti che faccio penetrare nella tramatura della tela in maniera totale.” (Da, Le strisce di Pope in sintonia con la realtà d’oggi, intervista con L. FRACCALINI, in “Casa, arredamento, giardino”, gennaio-febbraio 1976.)
10. Da D. COLLOVINI, testo nel catalogo della mostra, Pope. I suoni della superficie, presso il Centro Espositivo Campo d’osservazione, Gubbio 1991, p. 10.
11. Da E. MICCINI, presentazione alla personale di, Pope, presso il Centro Culturale il Cortile, Bologna 23 febbraio – 7 marzo 1980.
12. Da G. CORTENOVA, Pope, presentazione nel catalogo della personale presso la Galleria Plurima, Udine, 24 settembre - 12 ottobre 1977.
13. Ivi.
14. Da G. PAULETTO, Pope, nel catalogo della mostra, “Pope. Dialogando con la mia storia, Fossalta di Portogruaro, Casa del Popolo, 24 – 25 aprile 1983.
15. Da D. COLLOVINI, POPE, C. OLIVIERI, Dialogo, nel catalogo della mostra, Pope. Itinerario 1965 – 1995, cit. pp. 11 – 12.
16. Significativamente, già nel maggio 1991, Diego Collovini ha affermato che, nel caso di Pope : “Si tratta di realizzare un’opera il cui equilibrio formale viene a definirsi con tecniche gestuali raffinate, con l’azione del dipingere e del sovradipingere le quali denotano anche una conoscenza contraddistinta da un intenso amore/odio della Scuola di New York, della quale Pope ne apprezza la forza cromatica, l’impostazione formale, ma ne prende le distanze attraverso un formalismo razionale e programmatico.” (Da D. COLLOVINI, testo nel catalogo della mostra, Pope. I suoni della superficie, cit. p. 10.)
17. Da C. CERRITELLI, Il palpito della superficie nella pittura di Pope, ivi, p.14.
18. Da C. CERRITELLI, Le superfici di Pope …, nel catalogo della mostra, Pope. Il tempo della pittura, a cura di D. COLLOVINI, presso la Galleria Multigraphic, Venezia novembre 1999.
19. Da D. COLLOVINI, Caro Pope, ivi.
20. “La mia pittura è meditativa, calma …”, ha affermato Josef Albers, “Non ricerco effetti facili … Vede questo è ciò che voglio: creare immagini di meditazione per il Ventesimo Secolo.” (Vedi, J. WISSMANN, Gli Homages to the Square di Josef Albers: unione di razionalità e sensibilità, nel catalogo della mostra, Josef Albers. Omaggio al Quadrato. Una Retrospettiva, a cura di P. WEIERMAIR, con la collaborazione di G. VECCHI, Bologna, Museo Morandi, 16 gennaio – 30 aprile 2005, p. 22.
21. Da C. CERRITELLI, Il palpito della superficie nella pittura di Pope, Nel catalogo della mostra, Pope i suoni della superficie, cit. p.15.